Onore al merito. Elogiare il Montrachet equivale alla lapalissiana circostanza di buttare giù una porta già aperta. Che sia uno dei più grandi vini bianchi secchi del mondo è saputo e risaputo. È il migliore? È una questione soggettiva, ma come si può negare l'evidenza? Quando sono presenti tutte le condizioni (annata e tenuta), il Montrachet trasforma lo chardonnay rendendolo un'opera d'arte. Questa trasformazione deve molto a ... (diciamolo pure!) un terreno eccezionale: esposizione S-E, pendenza del 10%, altitudine tra i 250 m e i 270 m, ambiente roccioso, calore favorevole ad alcune piante mediterranee, argilla tra il 32% e il 36%, marna ricca di ghiaia, potere filtrante del calcare limitrofo (50 cm), senza dimenticare la misteriosa vena rossastra che mantiene viva la leggenda nel cuore delle influenze della terra.
Alcune fonti citano il Mont Rachaz (montagna limata e ruvida) del XIII secolo. Il Montrachet come realtà vitivinicola ha probabilmente preso forma più tardi, nel corso del XV e XVI secolo. Ha acquisito la sua notorietà grazie al suo vino bianco, a differenza dei Bienvenues Bâtard-Montrachet che piantarono anche viti per la produzione di vino rosso. I vini delle parcelle circostanti si ispirarono al loro prestigioso vicino e le viti di Montrachet fiorirono in tutta la località. È per questo che l'autentico Montrachet fu chiamato Grand, Vrai Montrachet (Grande, Vero Montrachet) o Aîné (Il più grande). Nel 1921, una sentenza del tribunale di Beaune le conferì le sue dimensioni definitive, ratificate dall'I.N.A.O. nel 1939.
La metà degli 8 ettari si trova a Puligny. La parte relativa a Chassagne si chiama Le Montrachet ed ha un aspetto più frammentato. Pende leggermente più a sud e beneficia della ricchezza di tenute come Jacques Prieur (2 parcelle), il Comtes Lafon (estremo sud-est) o il Romanée-Conti (3 parcelle). A Puligny, cinque proprietari condividono questo piccolo angolo di paradiso. Sono, da nord a sud, il marchese de Laguiche (2 ha, la più grande parcella, vinificata e commercializzata da Drouhin), le famiglie Regnault de Beaucaron e Guillaume (80 are, uva o mosto venduti a Latour, Jadot e Olivier Leflaive), i Ramonet (26 are) e Bouchard Père et Fils (89 are).
Con il Montrachet il piacere è sempre garantito? Grazie ai produttori presenti in collina, le bottiglie in linea con le aspettative generate da questa AOC superano di gran lunga quelle da evitare. Non tutte però sono al vertice dell'Olimpo di Bacco, dove la motivazione qualitativa suprema è posta in secondo piano, dopo la speculazione e la legge della rarità.
Un altro aspetto da tenere in considerazione è evitare il consumo prematuro. Attendere con pazienza dai 5 ai 15 anni è una scelta ragionevole, per permettere al Montrachet di esaltare la sua complessità e tutto il suo splendore. Tutto in uno: potenza senza pesantezza, finezza senza morbidezza, linfa intensa e soprattutto una lunghezza fenomenale che infonde al palato miele, frutta secca, piante nobili, spezie,... Secondo tutti i viticoltori e commercianti di vino ciò costituisce il culmine teorico di una degustazione, ma a seconda delle risorse di approvvigionamento e delle annate, non si può garantire che una giostra gustativa, con tutte le grandi annate messe insieme, giri anch'essa a suo favore.
Sopra Montrachet, tra i 265 e i 300 metri, sorge fiero Chevalier-Montrachet. Il pendio è più ripido (20%), la pietra calcarea ne rafforza la tenuta, il terreno è formato da alcune terrazze e il paesaggio è caratterizzato da una deserta zona mineraria. Di fronte ai problemi di erosione, Chevalier potrebbe aver perso parte della sua essenza terrena per cederla ai suoi vicini del livello inferiore. In ogni caso, il suo universo minerale si riflette in un vino spesso lungo, vivace, squisitamente fine e voluttuoso allo stesso tempo.
Gli ultimi 7,36 ettari sono stati costruiti in più fasi. Le ultime modifiche risalgono al 1939, con la classificazione di un ettaro di Caillerets a Chevalier (Les Demoiselles), su iniziativa delle famiglie Jadot e Latour, e al 1974, con quella di 25 are per conto della tenuta di Chartron, questi ultimi vitigni però sono stati venduti. Tuttavia, questa tenuta è ancora in possesso del Clos des Chevaliers (consta di 3 murs, quindi denominazione legale). Dal 98, oltre al "normale" Chevalier, la casa Bouchard Père et Fils produce uno Chevalier La Cabotte (24 are) da vigneti situati vicino a un pittoresco edificio in pietra recentemente restaurato.
Bâtard-Montrachet
Tutti gli amanti dei grandi vini bianchi della Borgogna conoscono la leggenda di questo figlio illegittimo, nato dall'unione di una fanciulla e il signore di Montrachet. Quest'ultimo adottò il bambino per assicurare la sua discendenza dopo la scomparsa dell'atro figlio, lo Chevalier. Grazie allo status di famiglia del padre, al Bâtard toccò la miglior parte della superficie totale dei grands crus. Tra i 240 e i 250 m, rivendicò 11,87 ettari, di cui 6 ettari a Puligny. Il terreno si ispessisce, soprattutto a Puligny, e l'importanza della ghiaia diminuisce man mano che la pendenza decresce e raggiunge la DOC comunale (AOC Village), senza passare per i premiers crus. Nel XIX secolo, solo la parte più elevata, adiacente al Montrachet, era classificata come premier cuvée. La denominazione Bâtard, frazionata in moltissime parcelle, produce vini ampi, ricchi, maestosi, sotto la guida di grandi viticoltori, come Pierre Morey.
Bienvenues-Bâtard-Montrachet
La leggenda continua con le grida festose degli abitanti di Puligny mentre danno il benvenuto al loro futuro sovrano. La località menzionata, già nota nel XIV secolo, dal 1939 costituisce un'enclave ufficiale, di 3,69 ettari, incluso nel territorio di Bâtard, condividendone il profilo pedologico e l'esposizione ad est. Gli artisti del XIX secolo menzionano Montrachet, Chevalier, Bâtard e Bienvenues.
In Borgogna, si definiscono "climat" gli appezzamenti che costituiscono il territorio viticolo. Il climat in questione si colloca nella zona classificata come deuxième cuvée dal Comitato per l'agricoltura di Beaune, nel 1860. Ciò significa che Bienvenues è solo un piccolo figlio illeggittimo? Un altro Bâtard? No! I Bienvenues sono stati valutati sotto diversi aspetti e si è riscontrato, attraverso una stesura globale identica a quella dei Bâtard, un lato più arioso e un leggero plus di delicatezza. Tuttavia, non è possibile trarre conclusioni definitive, frutto di esperienze isolate. Ad ogni modo, il Bienvenues, vinificato da produttori come la famiglia Carillon, non ha motivo di temere uno scontro alla cieca.